Scrivere non è trascrivere emozioni, ricordi o pensieri, così come realizzare un romanzo non è dare vita a una trama di cui l’autore già conosce ogni passo. Non è, tantomeno, dare voce a luoghi comuni, infarciti di reminescenze scolastiche, brani di vecchie antologie o scene già viste in chissà quale telefilm o programma televisivo o libro. Scrivere, per Giuseppe Pontiggia, è un’altra cosa: è inventare.
Io credo che il testo ne debba sapere di più di chi l’ha scritto. Il testo va oltre i programmi, le previsioni, il sapere stesso dell’autore. Altrimenti non varrebbe la pena di scrivere. Scrivere non è mai trascrivere, è inventare, ossia trovare, invenire, attraverso le parole.
Se non si dice qualcosa di nuovo, non ha alcun senso scrivere – ecco uno dei suoi concetti fondamentali – ma Pontiggia, in questa sua importante affermazione, va ben oltre: “il nuovo” non deve essere qualcosa di inatteso solo per il lettore, ma per lo scrittore stesso; è il testo stesso a generarlo. Colui che scrive ha il solo obbligo di eludere l’ovvietà.
Leggere “Per scrivere bene imparate a nuotare” è illuminante per tutti noi che proviamo (da inesperti) a realizzare i nostri romanzi perchè, in modo chiaro e ineluttabile, ci mette di fronte a una realtà di cui in generale siamo inconsapevoli: se a un certo punto del testo la curiosità per ciò che si sta scrivendo diminuisce, in automatico diminuirà, in quello stesso punto, anche la curiosità del futuro lettore. Abbiamo riflettuto molto su questa affermazione che non lascia scampo. Diretta e immediata, ci impone di cambiare rotta nel consueto modo di scrivere.
C’è qualche segnale che ti fa capire quando sbagli?
Ce n’è uno molto importante, la mancanza di curiosità. Quando non hai una forte curiosità per quello che stai scrivendo, per quello che stai scoprendo attraverso la scrittura, significa di solito che hai imboccato un vicolo cieco, che stai replicando te stesso, che stai ripetendo quello che sai già.
“Per scrivere bene imparate a nuotare” è una raccolta di interviste sulla scrittura che apparvero negli anni ’90 sulla rivista “Wimbledon, la gente che legge”. Si tratta di interviste simulate perchè fu lo stesso Pontiggia a scrivere sia domande che risposte. Egli amava il genere colloquiale e discorsivo. Sulla scrittura non ha mai voluto approntare alcun manuale, anche se sollecitato a farlo da molti, anche da Fruttero & Lucentini che, già dagli anni ’80, avevano visto in lui le potenzialità del perfetto manualista di scrittura creativa.
Giuseppe Pontiggia fu il primo a tenere corsi di scrittura creativa in Italia, a Milano, ingaggiato per questo compito dal direttore artistico del Teatro Verdi, Raffaele Crovi. Le sue lezioni iniziarono nel 1985 e andarono avanti sino al 1996. Lui, seduto con una bottiglia d’acqua a un tavolo sistemato sotto il palcoscenico del Teatro, ha raccontato a centinaia e centinaia di studenti e aspiranti scrittori le sue esperienze col linguaggio, dando loro utilissimi consigli ma, soprattutto, offrendosi come interlocutore per i loro testi. Ecco, a questo proposito, una citazione di Paolo Di Paolo dalla prefazione della raccolta “Per scrivere bene imparate a nuotare”.
Un maestro vero, un maestro come Giuseppe Pontiggia, non è uno che nasconde gli ostacoli. Li indica. Sembra quasi di vedere il dito che si tende verso un punto, più o meno lontano. La vedi? Quella è la sciatteria. Quella è la pericolosa confusione fra parlato e scritto. E quella? Quella è la linea della noia, anzi il muro della noia. Va abbattuto.
Giuseppe Pontiggia preferì definire le sue lezioni “corsi di scrittura espressiva”, non creativa, differenziandosi in questo dai corsi di creative writing americani. Negli stessi anni condusse anche lezioni di scrittura su Radio 2 raccolte oggi nel libro “Dentro la sera. Conversazioni sullo scrivere”. Da questo autore si può imparare molto, ed è per questo che noi di Scrittura Zen Genova vi invitiamo a meditare sulle sue parole: scrivere non è trascrivere, ma inventare. Per tutto il resto, lasciamo a voi il piacere della scoperta.