“Previsioni accurate” è un racconto che si sviluppa liberamente da un incipit di Roald Dahl (“Palato” da Storie impreviste e altre storie ancora più impreviste). L’autore, Claudio Luigi Stefano Rava, fa parte del collettivo di scrittori “Floro D’Avenza” dell’Associazione Scrittura Zen Genova. Alcuni suoi componimenti sono presenti nella raccolta “Parole in equi-librismo”. Dello stesso autore, è stato pubblicato in Zen Writing Blog anche il racconto “Esperto di ebbrezza”. Buona lettura!
Previsioni accurate
Quella sera eravamo in sei a cena a casa di Mike Schofield a Londra: Mike con la moglie e la figlia, mia moglie ed io, e un tale di nome Richard Pratt. Quest’ultimo presiedeva una piccola associazione conosciuta col nome di Epicurei, e ogni mese faceva circolare un opuscolo dedicato a un dio di cui confutare l’esistenza, o a un dogma da contestare. Era insomma un circolo di atei convinti e pervicaci, ma a differenza di altri gruppi simili era anche una specie di setta filosofica, che divulgava l’ateismo a mo’ di religione laica.
L’opuscolo di quel mese era dedicato al tema del “libero arbitrio”, uno dei dogmi del Cristianesimo, che gli Epicurei rigettavano con forza. Mi ero preso la briga di leggere l’opuscolo più che altro per avere uno spunto di conversazione con i miei commensali, ma devo ammettere che avevo trovato alcuni argomenti piuttosto intriganti.
Tra il primo e il secondo piatto il signor Pratt ricevette una notifica sul telefono, ma sul momento non ci feci caso. Subito dopo Pratt mi rivolse la parola: «Professor Mendelson, lei è uno scienziato: qual è la sua opinione sul libero arbitrio?»
Mi presi un momento per pensare: «Onestamente sono dubbioso – risposi – o se preferisce agnostico.» E aggiunsi: «Ho letto il punto di vista della sua associazione sul vostro ultimo opuscolo.»
«E che ne pensa?» mi domandò, visibilmente interessato.
«Mah, sono rimasto un po’ perplesso di fronte al fondamento fisico dei vostri ragionamenti – risposi – sembra basato soprattutto sulla meccanica classica, ignorando le implicazioni della fisica quantistica.»
«Consideri che è un opuscolo divulgativo – si giustificò Pratt – non volevamo confondere i lettori con tematiche così astruse.»
«Capisco, ma deve ammettere che il probabilismo non è un aspetto che si possa trascurare.»
Mia moglie Sofia intervenne: «No, capite che sbobba di discorsi mi devo sorbire un giorno sì e uno no – disse sorridendo – perché mi sento dire cose del genere tutte le sere eh, mica solo quando c’è l’opuscolo del signor Pratt.»
Pratt, concentrato sul discorso, non sembrò neppure aver udito la battuta di Sofia: «Rimanendo nell’ambito della fisica – suggerì – piuttosto che speculare, dovremmo tentare un approccio sperimentale, non credete?»
Seguì un brusio di perplessità. «In linea di principio è senz’altro corretto – convenni – ma mi sembra difficile mettere alla prova, o misurare, il libero arbitrio di una persona.»
Pratt si sporse verso di me: «E se le dicessi che noi Epicurei abbiamo l’apparato sperimentale adatto?»
Corrugai la fronte: «Cioè?»
«Uno scanner – rispose con una certa solennità – che permette di studiare un cervello con tale dettaglio, da modellizzarlo e prevedere il suo comportamento con un margine di errore del cinque per cento nei trenta minuti successivi all’osservazione.»
Avevo sentito dire che gli Epicurei fossero gente strana, non meno fanatici di certi religiosi che si promettevano di osteggiare, e in quel momento ritenni di averne avuto la conferma. Cercai di non sbuffare: dopotutto mi ero già imbattuto nei terrapiattisti, e avevo discusso con gente che credeva agli UFO, quindi non mi tirai indietro dal dibattito. «Signor Pratt – obiettai – una simile tecnologia non esiste. Anzi, non esistono nemmeno i fondamenti teorici per realizzarla.»
Pratt osservò l’orologio e fece un sorrisetto malizioso: «Mi permette di inoltrarle un messaggio?»
Per quanto sorpreso, valutai che Richard Pratt fosse innocuo, e gli diedi il mio numero. Udii il tono di notifica, ma prima che avessi il tempo di leggere il messaggio, vidi con stupore che Pratt appoggiava una piccola fiala con del liquido bianco dentro (acqua, apparentemente), e si alzava da tavola. Lo seguimmo tutti con lo sguardo, incuriositi, mentre si avvicinava alla porta d’uscita, fissando l’orologio.
«Scusi, ma che fa?» sbottò Mike.
«Signor Schofield – gli rispose – lei ha sgranocchiato i grissini prima di chiunque altro, vero?»
«Prego?»
Poco dopo, Mike diventò paonazzo: gli mancava l’aria, e cadde per terra, in preda a convulsioni.
«È il veleno – esclamò Pratt, mentre tutti ci prodigavamo di soccorrere Mike – l’avete ingerito tutti, e nella fiala c’è una sola dose di antidoto.» Detto questo, prima che chiunque di noi potesse reagire e saltargli addosso, uscì dalla porta, e se la chiuse dietro a chiave.
La prima cosa che ricordo è un sapore amaro in bocca, un’intensa nausea e una profonda debolezza. Aprii gli occhi, ma vedevo sfocato. Mi occorse un po’ per mettermi anche solo a sedere, e attorno a me vidi una strage. Mi gettai sul corpo di mia moglie, cercando di rianimarla: «Sofia, Sofia.» Gridavo al suo corpo esanime.
Poco dopo alzai lo sguardo, e vidi Pratt in piedi, di fronte alla porta aperta.
«Pazzo bastardo» esclamai, e cercai di alzarmi per mettergli le mani al collo, ma ero troppo debole, vacillai e ricaddi a terra.
«Ora dovrebbe leggere il messaggio» mi esortò.
Lo guardai senza capire, fissandolo con lo sguardo ubriacato dal veleno.
Allora Pratt disse: «Nel messaggio c’è un resoconto di quello che avete fatto. Anzi, che avreste fatto, poiché è stato redatto prima che avvenisse.»
Continuai a guardarlo inebetito, mentre lui estrasse il telefono e lesse il messaggio, col tono di chi sta narrando una semplice storia: «State per somministrare l’antidoto a Mike, ma sua moglie Sofia avverte gli stessi sintomi, e allora esitate: non sapete a chi darlo. La figlia di Mike, Elisa, cerca di chiamare aiuto, ma non c’è segnale.
«La moglie di Mike si sente male a sua volta, mentre Mike è ormai morto. Lei ed Elisa realizzate che il veleno è troppo veloce per fuggire dalla finestra e cercare soccorsi, e vi contendete la fiala. Elisa è una ragazza, e lei professor Mendelson pensa di poterla sopraffare, ma si sente male prima di lei, e intuisce di essere perduto. Il resto glielo racconto io: quando lei è già svenuto, Elisa avverte gli effetti del veleno, e presa dalla paura lo usa su se stessa anziché somministrarlo alla madre boccheggiante.»
Mi voltai, e vidi Elisa stesa per terra: «Ma è morta lo stesso» balbettai.
«Ovvio – rispose Pratt – la fiala conteneva semplice acqua minerale.»
Ero troppo agitato e confuso per formulare frasi adeguate. Mi fissai le mani e il corpo ancora viventi, senza capire. Fu Pratt a spiegarmi: «Metabolismo: su di lei l’effetto è cessato prima.»
«Come “cessato”?»
Pratt esibì un sorriso sornione: «Stia tranquillo, era solo un sedativo. Tra poco si riprenderanno tutti.»
“Riprendersi” era una parola esagerata: mezz’ora più tardi eravamo di nuovo tutti coscienti, questo sì, ma la sala assomigliava a un ospedale da campo: nausee, cefalee, crampi, e così via.
«Visto – esclamò Pratt trionfante di filosofia – noi Epicurei avevamo ragione: siamo prevedibili.»
Gli rivolgemmo tutti uno sguardo assassino. Fu Elisa a prendere la parola: «Che cosa è questa buffonata, razza di criminale?»
«Buffonata – fece risentito – è stato un esperimento scientifico.»
Mi osservò confidando nella mia solidarietà “accademica”, ma la mia espressione non dovette sembrare molto solidale.
«Io e i miei soci – proseguì – vi abbiamo scansionato durante la cena.» Indicò la finestra: «Ho piazzato l’apparecchio lì fuori prima di entrare. E poi ho creato l’ambiente per l’esperimento: insieme allo scanner ho piazzato un jammer per schermare i cellulari al momento giusto, ho versato il sonnifero sugli antipasti, e infine mi sono prodotto nella recita necessaria.»
«Erano i suoi amici al telefono?» ringhiai.
«Certo – confermò – avevano finito i calcoli sulle vostre reazioni, ed era importante che uno di voi ricevesse il messaggio prima della mia pantomima: altrimenti non avreste creduto all’efficacia del nostro algoritmo.»
«Intendete brevettarlo?» domandai.
Pratt non colse la mia ironia, dacché rispose scandalizzato: «Cielo no: noi siamo interessati esclusivamente alle implicazioni filosofiche.»
«Siete proprio dei geni. E pure disinteressati» commentò Mike accostandosi alla destra di Pratt.
«Mi congratulo anch’io» ribadì mia moglie, avvicinandosi a sua volta da sinistra. E io la affiancai: «È vero – aggiunsi – anche se ci sono previsioni che non richiedono algoritmi così sofisticati.»
Anche i congiunti di Mike lo affiancarono, dall’altro lato di Pratt. «In effetti – convenne Elisa – certe previsioni sono molto facili, anche senza scanner sofisticati.»
«A proposito – domandai – i suoi soci ci osservano ancora?»
Pratt ci pensò un attimo: «Lo scanner dovrebbe essere ancora acceso, quindi…» Si interuppe udendo una notifica sul cellulare: era un messaggio. Lo lesse, e ci squadrò tutti: «Oh Cielo.»
Eh, la filosofia è utile, allena il pensiero, stimola lo spirito critico. Però quella sera Pratt scoprì che a volte non basta, non senza essere campioni di karate. E anche in quel caso, uno contro cinque sarebbe un brutto affare.