Maternità e confini

Maternità e confini. Un tema complesso che ho deciso di analizzare. Il romanzo Mie Madri Blu nasce infatti dalla volontà di abbattere confini.

L’essere umano è confine, pelle che separa dall’altro e contiene una monade che non si può penetrare. Involucro assente a se stesso. Talora crudele e sempre solo.

La vita è speranza di svelare il mistero interiore nato con noi e che non conosciamo. Un mistero che resta inscindibile dalla persona che siamo, sistema involontario di organi, ossa, liquidi e umori sconosciuti persino al tessuto che li avvolge.

Il pensiero esiste nonostante noi stessi e non colma il vuoto di esistere. Le monadi si muovono, si avvicinano o respingono, mai entrano l’una nell’altra per quanto intimo sia il loro contatto.

Esploriamo ora meglio il tema “maternità e confini” nel mio romanzo.

Le tre donne protagoniste sono donne di epoche diverse: Aegea, Nanan e Hannah. Le prime sono rispettivamente nonna e madre dell’ultima. Nonostante abbiano nomi palindromi vivono vicende storiche e interiori che le allontanano, le costringono entro confini di solitudine.

Il cordone ombelicale che unisce la madre al feto rappresenta il superamento del confine, una monade che si forma nell’altra e si illude di esserne artefice, tutrice e custode. Eppure il battito del secondo cuore dovrebbe indicare alla madre la scadenza di quel tempo, la meraviglia irripetibile di una coesistenza a termine.

L’esistenza è rimpianto inestinguibile del liquido amniotico che abbiamo abitato e poi ci ha respinto. Si tratta di un legame carnale che ci stupisce e non capiamo fino in fondo.

Una madre è confine che si rompe e, prima di richiudersi,  sfocia in un altro confine capace di generarne altri in una catena infinita.

Il figlio che la donna ha ospitato è conosciuto e compreso in modo imperfetto. Questo accade perché il figlio è altro da sé e, per questo, legittimato a compiere un viaggio lontano senza tornare indietro.

Le tre donne di Mie Madri Blu non accettano il confine, il taglio, e vivono storie umane inquiete, emotivamente compromesse.

Non so se nasca dal distacco la condizione di disagio, il senso di abbandono che si portano dietro la mamma e il bambino, ma succede che i loro confini, i pensieri e le sensazioni nel corso degli anni si ispessiscono, e solo talvolta si tramutano in affinità, arrivano a sfiorarsi e appagano il  desiderio di un attimo infinito di vicinanza.

Il superamento del confine è il movente dal quale il romanzo è nato. Così concreto da farsi carnale, trova realizzazione nell’elemento liquido. Il cerchio torna su se stesso e non ha confine. Il palindromo nasce e ritorna all’infinito.

Maternità e confini, un percorso interiore.

Il viaggio e la ritrovata unione di Aegea, Nanan e Hannah hanno compimento in una dimensione surreale. Il romanzo sprofonda nella metafora blu di un mondo sognato e desiderato, senza confini.

Irene ChiozzaScrittura Zen Genova

Irene Chiozza fa parte del collettivo di scrittori Floro D’Avenza e frequenta i corsi di Marte Teatro. Pubblica articoli sulla rivista locale Il Corniglianese e su Zen Writing Blog. Oltre a questo, vive la sua esistenza in leggerezza e vista mare. Il blu accarezza da sempre il suo essere scrittrice, che sia il blu del cielo, dell’acqua o dell’anima. I suoi romanzi:

MIE MADRI BLU

TRE CIELI, QUELLA VOLTA CHE MURAKAMI MI COPIO’

TESTAMORO COCKTAIL, DI CAMELIE, BASILICO, RICORDI E SEGATURA